Chiarezza sulla questione della VETTA del K2
- Quella notte sul K2, tra il 30 e il 31 luglio 1954, io dovevo morire. Il fatto che sia invece sopravvissuto è dipeso soltanto da me.
- Quello che riportai dal K2 fu soprattutto un grosso fardello di esperienze personali negative, direi fin troppo crude per i miei giovani anni.
-- A cinquantatré anni dalla conquista del K2, sono state finalmente ripudiate le falsità e le scorrettezze contenute nei punti cruciali della versione ufficiale del capospedizione prof. Ardito Desio. Si è così ristabilita, in tutta la sua totalità, la vera storia dell'accaduto in quell'impresa nei giorni della vittoria.
- 28 luglio mattino, settimo campo, quota 7345. Come un estraneo assisto alla partenza dei miei compagni che stanno per iniziare l'ultima fase d'attacco al K2. Sono Erich Abram, Achille Compagnoni, Pino Gallotti, Lino Lacedelli, Ubaldo Rey. Tre giorni fa, quando raggiungemmo per la prima volta questa quota e vi fissammo il settimo campo, anch'io, come tutti del resto, ero duramente provato ma pieno di volontà e di speranza. Poi per l'ennesima volta si guastò il tempo e per due giorni e tre notti rimanemmo prigionieri nelle tende. La prima sera mangiai qualcosa che non digerii, penso sia stata una scatoletta di sardine sott'olio, e da allora non riuscii a sorseggiare che poca limonata.
- Invano attendiamo che Lacedelli e Compagnoni ricompaiano. Riprendiamo a chiamare, a chiedere aiuto, ma nessuno più si farà vivo per tutta la notte.
- Come un marchio di fuoco sento che qualcosa di grave si sta imprimendo nel mio animo.
- Alternando una promessa a una preghiera, convinco Mahdi a sedere accanto a me. Resosi conto che i due lassù ci avevano abbandonati, adesso il compagno voleva a ogni costo ritornare all'ottavo campo e lo manifestava con gesti dissennati. Per due volte ero riuscito a trattenerlo quando gli capitò di trovarsi sul punto di cadere a capofitto.
- Mi tolgo i ramponi dai piedi per favorire la circolazione del sangue.
- Ore 23. Cinque cuori esultano per la stessa conquista, nella stessa tenda all'ottavo campo. I loro nomi sono: Abram, Gallotti, Compagnoni, Lacedelli, io. In questo momento, e solo per questo momento, mi impongo di dimenticare il resto. Ma cancellare per sempre dalla mente una simile esperienza sarebbe ingiusto. Fatti come questo, segnano indelebilmente l'anima di un ragazzo e ne scuotono l'assetto spirituale, ancora acerbo.
- Monte Argentario, 18 aprile 2001 Al Presidente della Repubblica CARLO AZEGLIO CIAMPI Palazzo del Quirinale -- Roma Signor Presidente Ho appena visto al telegiornale la cerimonia svoltasi al Quirinale in onore del prof. Ardito Desio per il suo 104° compleanno. Lei lo ha premiato con un prestigioso riconoscimento che assume il massimo valore proprio perché consegnato dalle Sue mani. Anch'io come tanti rispetto il traguardo anagrafico del professor Desio e la sua opera di studioso; ben diverso credo sia invece il suo merito come Capo della riuscita Spedizione Nazionale Italiana per la conquista del K2, nel 1954. La stimo, moltissimo, Signor Presidente, ed è la ragione per cui mi pernotto di inviarLe questo mio libro sperando che trovi il tempo per sfogliarlo: è la storia postuma di questa grande Spedizione Nazionale, di cui ho fatto parte. Non è tanto la mia vicenda personale che intendo portare alla Sua conoscenza, essendo essa complementare all'impresa, bensì voglio informarLa sul falso storico contenuto, tuttora, nelle relazioni e nei documenti ufficiali della conquista del K2; un falso storico ormai riconosciuto come tale nel mondo intero. Vorrei dunque che una persona come Lei fosse totalmente informata sull'argomento, poiché la posizione ufficiale di questo fatto non fa certo onore al nostro Paese. Grazie per avermi ascoltato. Con il massimo rispetto e ammirazione.
- Passarono ancora altri anni, e nel 1993 ecco un fatto inspettato che giunge ad avvalorare ulteriormente le testimonianze raccolte in Processo al K2. Un chirurgo di Melbourne, il professor Robert D. Marshall, scopre nell'edizione inglese di Berge der Welt (del 1955), e rende note, due fotografie che mostrano Compagnoni sulla cima del K2 appena raggiunta: sul volto porta ancora la maschera, collegata da un lungo tubo alle bombole di ossigeno, posate ai suoi piedi... Ecco, lampante e inequivocabile, la definitiva dimostrazione del falso sull'ossigeno.
-- Siamo giunti al quarantesimo anniversario della conquista del K2, e il CAI, finalmente, annuncia la tanto attesa revisione storica dell'assalto finale alla grande montagna.
- Ma è proprio qui che si manifesta il bluff del Club Alpino Italiano, ovvero l'inganno di considerare, come pretesa revisione storica, una motivazione niente affatto pertinente alla reale «pietra dello scandalo». Cosa quindi mai da nessuno ritenuta «sospetta».
- Ebbene, ormai mancano solo due mesi alla celebrazione del 50° anniversario della conquista, ma, dall'aria che tira, già sembra di poter dire che ogni divergenza sui fatti del K2 verrà, maldestramente come sempre, insabbiata e dunque ignorata nei testi ufficiali. E con ciò quel siffatto CAI, commemorando l'impresa del 1954, ancora una volta vorrà farci credere di aver assolto totalmente i suoi obblighi, il suo dovere morale sulla tanto avversata – ma che rimarrà insoluta – questione K2.
- In definitiva, stando così le cose, si deve dire purtroppo che anche questa vicenda squallida del K2 è entrata a pieni voti nell'omertoso cerchio delle più basse storie nazionali che rimangono insolute. Però c'è ancora una qualche speranza di spezzarlo, quel cerchio, per risanarne il contenuto. Capace di infrangerlo sarà soltanto, lo ripeto, un futuro più attento ai valori e anche più responsabile di quanto non è stata la nostra epoca. Ci vorrà insomma un'Italia finalmente capace di far emergere con fermezza la parte migliore di sé, per uscire dal pernicioso declino in cui si trova. Ma questo, io, non arriverò a vederlo. [Explicit]
- Se io dunque traspongo questi princìpi nel mondo degli uomini, mi troverò immediatamente considerato un fesso e comunque verrò punito, perché non ho dato gomitate ma le ho soltanto ricevute. È davvero difficile conciliare queste diversità. Da qui l'importanza di fortificare l'animo, di scegliere che cosa si vuole essere. E, una volta scelta una direzione, di essere talmente forti da non soccombere alla tentazione di imboccare l'altra. Naturalmente il prezzo da pagare per rimanere fedele a questo «ordine» che ci si è dati è altissimo.
- Nessuno dei grandi viaggiatori avventurosi è stato tanto nel mio pensiero quanto Luigi Amedeo di Savoia, duca degli Abruzzi. Posso dire che dei maggiori esploratori del passato, dai quali ho tratto sempre ispirazione per le mie mete, è lui che più di tutti ho portato nell'animo durante i miei viaggi nel mondo più arduo e integro. Sulle Alpi e sull'Himalaya, in Alaska, nelle regioni polari, sui Monti della Luna, sul K2 in particolare, è in questo nobile eroe che, pur nella mia limitata condizione, ho potuto identificarmi. Ma ho avuto motivo di riconoscermi in lui anche attraverso le amarezze di un vivere colmo di contraddizioni e di inganni, dove la responsabilità, la coerenza, la dignità e infine, perché no, il successo, che malgrado tutto può giungere anche a chi tanto ha dovuto pagare sulla propria pelle, ostinatamente non sono mai perdonati.
- [Luigi Amedeo di Savoia, duca degli Abruzzi] Questo magnifico gentiluomo dalle doti più elevate e dagli interessi più degni: l'ultimo di una razza speciale. Ma un rimpianto lascia in me il duca degli Abruzzi: quello di non aver potuto vivere nel suo tempo. Chissà, forse mi sarei trovato nel suo gruppo di guide, legato alla sua corda, sul K2.
- Non m'interessa parlare della notte che cambiò la vita, che ha reso il mio carattere per sempre sospettoso e diffidente. Avevo visto la durezza della guerra. Il giorno prima con i miei amici, partigiani, giocavamo a calcio, il giorno dopo erano nella chiesetta, cadaveri, sfigurati in viso dagli scarponi chiodati. Ho visto la fucilazione dei gerarchi fascisti, ero a piazzale Loreto quando appesero Mussolini a testa in giù come un maiale, sapevo cos'era la cattiveria, ma ignoravo l'infamia. Ho aspettato due mesi che Compagnoni venisse a darmi una pacca sulla schiena, a dirmi che aveva fatto una fesseria, a chiedere scusa, perché può capitare di essere vigliacchi, ma deve anche capitare di ammetterlo. Invece niente, invece sono finito sul banco degli accusati, ero io la carogna, non loro che avevano mentito sull'uso delle bombole, delle maschere, sull'orario del balzo finale alla vetta.
- [Sulla vicenda del K2] Nella relazione ufficiale di Desio che il Cai ha accettato è sbagliata la quota del mio bivacco, quella del campo di Compagnoni e Lacedelli, l'uso e la durata delle bombole di ossigeno, niente affatto esaurito prima dei duecento metri di dislivello sotto il K2, e l'ora in cui dettero l'assalto alla vetta. E tutto questo perché? Perché l'impresa oltre ad avere successo doveva essere anche eroica. Far vedere che gli italiani erano stati non solo bravi, ma anche straordinari.
- [Sulla vicenda del K2] Ne abbiamo fatto una montagna di merda, coperta di menzogne, perfino la stampa straniera ci chiede "perché?". E tutto questo perché non riusciamo ad essere un paese pulito, dobbiamo strumentalizzare le occasioni, la verità, sporcare gli uomini. L'Italia è un paese di complici, dove non esiste solidarietà tra onesti, ma solo scambio tra diversi interessi, dove il sogno di Desio doveva restare immacolato. Dove solo io potevo essere infangato, disprezzato, accusato. Non solo, ma qualsiasi controversia non viene mai affrontata, si preferisce accantonarla, non prendere la responsabilità di una scelta. Mentre oggi agli idoli sportivi imbottiti di droga tutto viene perdonato perché sono l'immagine del paese. E se solo guardo quello che passa in tv mi viene schifo: quelle persone sull'isola, che si fanno riprendere, quella buffonata. Con quale rispetto verso i padri dell'avventura, verso chi ha cercato frontiere e parole nuove come Melville, Jack London e Stanley? Io sul K2 in una notte del '54 sono quasi morto, ma quello che mi ha ucciso è questo mezzo secolo di menzogna. Ho urlato così tanto quella notte nella mia disperazione che adesso non voglio avere più voce. La puzza del K2 la lascio a voi, io preferisco respirare.
- Era un freddo pomeriggio dei primi di maggio del 1965 e stava per concludersi la lunga trasvolata che da Ottawa mi portava a Whitehorse, nel centro più avanzato del Grande Nord-Ovest canadese: una terra che ancora non aveva storia ma soltanto cronache di caccia e racconti d'avventura che con il tempo si erano trasformati in miti e leggende. [Klondike: sulla via dei cercatori d'oro, 1965].
- Svegliarsi un mattino e rendersi conto che da vari giorni vivi su un isolotto di lave fumanti sperduto nel mar della Sonda è la premessa migliore per garantirsi l'avventura e l'emozione per la nuova giornata che sta iniziando. Questo mi capita nel dicembre 1968 mentre sto compiendo un sopralluogo su ciò che è rimasto del famoso vulcano Krakatoa, inaspettatamente esploso ottantacinque anni prima. [Krakatoa, sui resti di un cataclisma, 1968].
- Chissà quanti, leggendo un libro di avventura, avranno provato quel tale trasporto che induce a immedesimarsi nel protagonista della vicenda, fino a ritrovarne, quasi a riviverne, le sensazioni descritte dall'autore. Ebbene, questo io l'ho provato leggendo Taipi, il primo libro di Herman Melville nato dai ricordi, lo rimarca lo stesso autore, di un'autentica avventura vissuta sullo sfondo delle isole dei mari del Sud. [Sulle orme di Melville, 1969].
- L'Italia è un paese di complici, dove non esiste solidarietà tra onesti, ma solo scambio tra diversi interessi.
- Oggi agli idoli sportivi imbottiti di droga tutto viene perdonato perché sono l'immagine del paese.
- Se solo guardo quello che passa in tv mi viene schifo: quelle persone sull'isola, che si fanno riprendere, quella buffonata. Con quale rispetto verso i padri dell'avventura, verso chi ha cercato frontiere e parole nuove come Melville, Jack London e Stanley?
- Io sul K2 in una notte del '54 sono quasi morto, ma quello che mi ha ucciso è questo mezzo secolo di menzogna.
- Ho urlato così tanto quella notte [sul K2] nella mia disperazione che adesso non voglio avere più voce. La puzza del K2 la lascio a voi, io preferisco respirare.
- Così il CAI Centrale si limita a «riconoscere a Bonatti il giusto merito per l'apporto alpinistico da lui dato alla vittoria del K2»... E chi mai, fin dall'inizio, ne aveva dubitato? Risultò insomma, tout court, una finta, assurda e persino ridicola revisione storica.
WALTER BONATTI
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